La più grande strage del '900 a Cremona dopo quella provocata dalla epidemia di spagnola

63 anni fa, il 10 luglio 1944, le bombe "alleate" sulla stazione e su Porta Milano


Così la rievocò un grande giornalista di ieri, Mario Levi - Oltre 150 morti, il loro numero rimase imprecisato - Fu un cremonese che avvertì gli angoloamericani di una presenza sui binari di armi tedesche (ma il convoglio non c'era...)


di Mario Levi

Un documento
davvero eccezionale a destra:
ecco la rara foto
della distruzione
di Porta Milano
e dei tentativi
di trovare qualche
sopravvissuto
sotto le macerie:
per non impressionare
la popolazione,
il regime fascista
non desiderava
che si desse troppo
risalto alla distruzione,
anche se gli avrebbe
giovato sotto altri
profili per sottolineare
la spietatezza dei
suoi avversari. La guerra
doveva continuare...

Le vittime

Le bombe provocarono oltre 150 morti

La maggiore mortalità a Cremona nel 1900 fu per l'epidemia di spagnola che causò 1621 morti

Al cimitero, sono sepolte 126 salme di vittime dell’arma aerea. Poichè alcuni morti vennero trasferiti in altre città e altri sono sepolti in colombai ed in tumuli, si può ritenere che a Cremona le vittime delle incursioni aeree siano state circa 150. Cronologicamente, possono essere forniti i seguenti elementi: Settantacinque morti il 10 luglio 1944; uno il 23 luglio; uno il 4 agosto; uno l’11 agosto; uno il 13 agosto; uno il 4 novembre; tre il giorno 8; uno il 18, uno il 22 e ben 12 il 15 dicembre 1944.
Per l’anno 1945, i dati sono i seguenti: 20 gennaio 6 morti; 21 gennaio nove morti; 22 gennaioi un morto; 25 gennaio due morti; 28 gennaio un morto; in febbraio (giorno 4) non vi fu che una incursione cruenta con un morto; in marzo tre incursioni con un morto ciascuna: il 16, il 21 e il 22. Nella incursione del 16 marzo, morì un uomo la cui moglie era rimasta vittima quattro mesi prima di un altro bombardamento aereo. Anche in aprile vi furono quattro incursioni: una il giorno 15 con 5 morti, una il giorno 20 con due morti; una il giorno 24 con 5 morti e l’ultima nella mattinata del 25 aprile, durante la quale un giovane venne ucciso.


Ingresso di rifugio antiaereo (foto Fazioli)


Le vittime del 10 luglio 1944, non poterono essere sepolte immediatamente: il personale del cimitero, pur rinforzato da alcuni elementi, non fu in grado di scavare tante tombe che nel giro di alcuni giorni; i feretri in attesa di sepoltura, vennero provvisoriamente deposti sotto gli androni.
Per ricordare una mortalità elevata come quella del tragico bombardamento del 10 luglio 1944, bisogna risalire a giorni che sembrano lontani: quelli dell’epidemia della « spagnola » dell’ottobre 1918. Il numero dei morti cominciò ad aumentare in modo impressionante nei primi giorni del mese; al 10 di ottobre, i morti assommavano già a una quindicina al giorno. Il giorno 17 ottobre 1918, vennero accolte al cimitero 44 salme, numero che sembrava enorme se si considera che in quell’epoca la media della, mortalità era di quattro al giorno. Ma il giorno 16, restò memorabile negli annali del camposanto: vi furono fatti affluire 50 morti. Poichè in quei giorni il cimitero restava aperto per sette ore e mezzo, i funerali giungevano con un ritmo di uno ogni nove minuti. Per fortuna si era giunti alla punta massima: il giorno successivo, i funerali furono 28, poi pian piano la epidemia fu vinta. Durante il periodo culminante dell’epidemia, furono proibiti i cortei funebri, l’affissione di manifesti mortuari e la pubblicazione di necrologie sul giornale; tutto questo perchè la cittadinanza si impressionasse meno. Per la spagnola, morirono 1.621 cremonesi.

M.L.


La Galleria, allora "23 Marzo", protetta da sacchi di sabbia (foto Fazioli)




La casa d'angolo di Porta Milano con via Dante,
completamente distrutta

10 luglio 1944. Erano le 9 o poco più; alla stazione i ferrovieri stavano lavorando; nelle strade vicine si svolgeva l'intenso traffico normale, i negozi erano pieni di massaie. Improvvisamente, si udì il rombo di una potente formazione aerea. Le sirene d'allarme non avevano suonato, nessuno pensava potesse trattarsi di una incursione nemica. E probabilmente, se le sirene avessero suonato in tempo, molti non se ne sarebbero preoccupati, tanta era ormai l'abitudine di udire quei cupi ululati, di veder passare le squadriglie ad altissima quota, dirette verso chi sa quali bersagli lontani. D'un tratto un tremendo boato riempì l'aria di spavento. Polvere e fumo, oscurarono il cielo a porta Milano. E, nello stesso istante, risuonarono gli ululati delle sirene d'allarme. Fuggire? Come? Dove? La morte incombeva. Le bombe precipitavano con un sibilo lacerante, scoppiavano con boati paurosi,le case cadevano in frantumi, nelle strade si formavano dei crateri, la polvere sottile rendeva l'aria irrespirabile.
Non durò che pochi minuti l'incursione, ma i danni furono enormi. Erano crollate tutte le case sul lato destro del piazzale di Porta Milano, alcune sui lato opposto, due o tre oltre l'angolo di via Dante, altrettante in via Palestro, alcune in viale Trento e Trieste. Nella stazione (punto di mira degli aerei) le rotaie erano divelte, alcuni locali di servizio distrutti, le pensiline, dalle colonnette spezzate e contorte, erano infrante, lo stesso edificio principale era assai danneggiato. Oltre la linea ferroviaria, al cimitero, lo spettacolo era tragico. Bombe vi erano cadute in gran numero, decine di tombe erano state distrutte, molte ossa affioravano dal terreno.
Cominciarono le opere di soccorso. Feriti ve n'erano un po' dappertutto nel quartiere. I morti, tratti dalle macerie dopo un lavoro a volte protrattosi per parecchie giornate, erano settanta, in maggioranza ferrovieri.
Quella fu la prima grande incursione aerea contro Cremona. Forse una incursione inutile. Da quanto si apprese poi, l'avviso agli alleati era partito da una radio clandestina installata proprio nel centro della città, in Galleria XXV aprile, in casa di un noto ed insospettabile professionista. Fu lui ad avvertire con un segnale in codice che nella stazione di Cremona doveva sostare un convoglio tedesco carico di armi e di munizioni. Da qui la decisione degli alleati di bombardare, purtroppo assai maldestramente, una città ed un nodo ferroviario che comunque sarebbero stati primo o poi attaccati se l'ultima difesa tedesca si fosse attestata, come si temeva e come non avvenne, sulle rive del Po. Fu comunque in quest'ottica che i bombardamenti si estesero al ponte sul Po.



In occasione dell'ultima secca, sono affiorate dal letto del Po
le palafitte di ancoraggio del ponte in barche che
costituì il collegamento tra Cremona e la sponda piacentina dopo il bombardamento del ponte in ferro

Cremona clandestina era in fermento: il CLN cremonese si era costituito l'11 maggio 1944 nello studio di via Tribunali dell'avvocato Francesco Frosi. Uno dei motivi di contrasto all'interno del CLN fu proprio l'azione militare e di supporto agli alleati. Il colonnello Aquilino Masone che aveva per nome di battaglia “San Marco” si autoproclamò comandante, incoraggiato dalla DC e dal PLI. Ma il commissario delle brigate comuniste Garibaldi Arnaldo Ruggeri gli rifiutò l’incarico. Masone non si fece più vivo fino alla Liberazione, ma certamente tenne contatti personali con le truppe americane. Non fu lui, comunque, a sollecitare il bombardamento di Cremona.
La prima, volta che gli apparecchi nemici furono avvistati nel nostro cielo, fu allo scoccare delle 3 della notte dell’11 giugno 1940 subito dopo la dichiarazione della guerra. Tornarono ogni sera per due settimane consecutive, ma passavano sulla città senza far danni. Poi, dopo la sconfitta francese, per quasi due anni gli aerei non furono segnalati. Fu soltanto nel giugno 1944, dopo la liberazione di Roma e l’occupazione della Normandia, che le incursioni ripresero.
Dopo il grande bombardamento della mattina dei 10 luglio, i cremonesi non ebbero che poche ore di riposo.



Pietro e Giovanni Baresi sulle barche della Baldesio nel 1944,
sullo sfondo il ponte distrutto. La vita continua...

Verso le 17, le sirene dettero l’allarme e gli aerei, scesi a bassa quota, bombardarono la cosiddetta « linea Maginot », ch’era un grande deposito’ di carburante, lungo le rive del Po e tentarono di demolire il ponte. Non vi riuscirono, tornarono nei pomeriggio del 14 e dopo pochi tiri, il ponte era distrutto.
Da allora le incursioni aeree si sono succedute senza sosta, sino al 26 aprile 1945, quando già le forze partigiane avevano occupato la città. Se non erano bombardamenti massicci, come quello presso il Casermone, erano mitragliamenti che provocavano vittime e danni.



Pagina aggiornata alle ore 9:01:12 di Mercoledì, 11 luglio 2007