La giunta milanese ha contestato la possibilità di modificare l'architettura delle cascine
Paolo Reale ha ricordato su "vivimilano" l'impegno, a suo tempo (e contraddetto parzialmente in seguito) del Comune di Milano per recuperare le cascine, che occupano 88mila metri quadrati coperti e 360mila scoperti, e interromperne così il cammino di degrado e distruzione.
La giunta ha rimarcato la scarsezza di mezzi finanziari per un recupero diretto e ha quindi individuato una formula «di incentivo» per chi chieda in concessione le cascine. In sostanza, il concessionario (vincitore di regolare gara pubblica) potrà destinare fino al 15-20% della struttura della cascina ad usi e gestioni che generino un reddito tramite il quale potrà recuperare i fondi che permettano di sopperire agli oneri di manutenzione ordinaria. Importante è sottolineare che parte della cascina debba mantenere una destinazione pubblica.
Scopo della delibera è quello di «preservare architetture che hanno un valore storico e monumentale per i milanesi e di accendere in questo modo l'interesse della collettività oltre a porre uno stop definitivo all'inesorabile decadimento di tali strutture visto che finora si è fatto poco o niente» .
L'assetto delle cascine non può essere modificato e tali edifici sono beni architettonici che richiedono notevoli investimenti: la collaborazione pubblico-privato è vista come necessaria per soddisfare entrambi i soggetti, recuperando anche un patrimonio unico per la città.
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Recentemente l'Amministrazione Provinciale ha presentato in due volumi il primo tentativo di censimento delle cascine cremonesi. Un gruppo di giovani ricercatori coordinati dall'Assessorato di Programmazione Territoriale ne ha contate ben 4277 delle quali 3061 in attività, 3311 abitate, 799 slegate dall'attività, 46 vincolate, 407 in abbandono. Commentando questa ricerca, il vice presidente della Provincia e assessore alla partita Giovanni Bondi scrive: "
... lo studio sui complessi rurali non vuol essere un atto di "recupero nostalgico"... ma è riconducibile ad un preciso obiettivo: rivitalizzare il patrimonio culturale delle nostre comunità, recuperare anche con nuovi interventi di economia legislativa i plessi di pregio architettonico, creando nel contempo progetti che integrino turismo, arte e tradizioni locali". E tutto ciò per
"elaborare un progetto complessivo, che coinvolga Amministrazioni ed Istituzioni, oltreché Associazioni di categoria, per poter far rivivere le cascine".
É un impegno lodevole e condivisibilissimo. Per per poter far rivivere le cascine, occorre però che le cascine non siano state rase al suolo o modificate in modo così radicale da cancellarne la struttura primitiva e le loro linee funzionali. Accade infatti che le cascine sono invece via via ridotte a feticci kitsch di una "civiltà contadina" che, se fosse sopravvissuta, non potrebbe mai riconoscersi in queste trasformazioni. Troppe imprese e geometri - architetti sfruttano quasi sempre in modo indecoroso, quel sentimento di "recupero nostalgico" che giustamente Biondi invita ad abbandonare, accalappiando così la clientela di consumo dove si ambisce, un po' per moda e un po' per sentito dire, a rituffarsi (però con la cucina da cento milioni e la vasca da idromassaggio) in un passato memorabile di splendore produttivo, di intelligenza agricola, di arroganza padronale, di tragiche disparità economiche, di enormi sofferenze e di inaudita povertà.
Quando si passa dalle parole ai fatti la realtà è drammatica ed in netta contaddizione con la retorica dei buoni propositi. Nel mentre a Cremona si reclama la dignità e il dovere di tutela della cascina, avviene, specialmente negli ultimi otto anni e con una accelerazione paurosa, una dispersione drammatica, assolutamente senza precedenti di questo patrimonio. Nell'indifferenza ed in nome delle esigenze di recupero si consuma pressochè impunemente un vero dramma urbanistico, culturale e storico del quale un giorno si chiederà conto alle Amministrazioni locali e di Cremona in particolare, dove si è faticato a trovare gli strumenti per impedire il massacro.
Antonio Leoni che fin dagli anni'60 ha fotografato l'agonia della cascina e del mondo contadino (vanno ricordati in particolar modo due opere fondamentali: "La cascina cremonese" e "Il mondo degli ultimi") ha compiuto una ricognizione a mo' di esempio degli scempi compiuti a Cremona in questo periodo, nella sostanziale rassegnazione dell'amministrazione pubblica. Un altro documento storico e tremendo del fotografo cremonese.