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Marco Tanzi, ancora una volta, mantiene l'impegno con i tanti lettori d'arte de "Il Vascello", portandoci alla scoperta di capolavori pressochè sconosciuti della grande pittura cremonese: ed ecco una scoperta nei depositi di Palazzo Barberini


Questo dipinto non è di Domenico Monio, ferrarese

ma di Gian Battista Trotti, l'instancabile Malosso



di Marco Tanzi

In un recente volume dedicato ai dipinti ferraresi del Rinascimento delle raccolte pubbliche di Roma viene pubblicata una bella teletta (inv. 1958; 117 x 94 cm) raffigurante la Crocifissione, conservata nella Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini ed attribuita a Domenico Monio, pittore ferrarese della seconda metà del Cinquecento (L. Mochi Onori, in Il museo senza confini. Dipinti ferraresi del Rinascimento nelle raccolte romane, a cura di J. Bentini e S. Guarino, Milano 2002, pp. 96-97).
Non conosco l’opera dal vivo, solitamente è relegata nei depositi di Palazzo Barberini: non è certo un capolavoro se confrontata alla campionatura esposta nel grande museo statale – ancora afflitto dai cronici problemi di spazio dovuti al pluridecennale contenzioso con il Ministero della Difesa che non si rassegna a cedere i locali del Circolo ufficiali alla Galleria – ma è senza dubbio una tela di ottimo livello qualitativo, solamente un poco sporca, come si avverte dalle buone riproduzioni fotografiche del volume.

Occorre tuttavia segnalare che non si tratta di un dipinto nato nel clima del tardo manierismo nella città estense, ma di una tela a tutta evidenza cremonese: l’autore infatti è Giovanni Battista Trotti detto il Malosso, come ho già segnalato brevemente in una nota del mio articolo Siparietti cremonesi (in “Prospettiva”, 113-114, 2004, p. 159, nota 81).
Non credo che occorra soffermarsi a lungo sulle caratteristiche stilistiche che delineano le immagini dei tre dolenti per trovare una serie di rapporti ineludibili con la torrenziale produzione malossesca; vorrei piuttosto sottolineare l’importanza dell’artista nel panorama padano – e non esclusivamente locale – negli anni a cavallo tra i secoli XVI e XVII, con commissioni di primaria importanza, fra l’altro, a Parma, dove fu artista alla corte farnesiana, e con relazioni intellettuali non indifferenti, meritando fra l’altro un carme da parte del maggiore poeta barocco italiano, Giovanni Battista Marino, il quale possedeva una sua tela con il Giudizio di Mida che ritrovai, alcuni anni fa, in una collezione di Buenos Aires.
Giovanni Battista Trotti, alla luce delle conoscenze documentarie e dell’indubbia qualità della produzione pittorica e grafica, meriterebbe un accurato studio monografico che ordinasse la grande mole del materiale facendo luce nella articolata bottega, spiegasse la sua enorme fortuna presso i contemporanei e, soprattutto, permettesse di capire la linea vincente della pittura a Cremona nel segno della restaurazione, dopo lo sperimentalismo in qualche modo rivoluzionario di Antonio e Vincenzo Campi.

Malosso è di gran lunga l’artista più dotato della generazione post-campesca: c’è un’abisso di stile e qualità con i pittori cremonesi contemporanei, ad esempio Andrea Mainardi detto il Chiaveghino o Gervasio Gatti, ed il polso della situazione è offerto dal prestigio dei suoi committenti.
In questo contesto si pone la tela romana, importante anche per il fatto che ci restano pochissimi dipinti del Malosso con la Crocifissione, quella nel tempietto di Cristo risorto presso San Luca e quella nella chiesa del Carmine a Pavia, strettamente legata a questa composizione. Evidenzio solamente i tratti dei personaggi, tipici del repertorio dell’artista, dal volto e dal gesto della Vergine addolorata alla Maddalena che abbraccia la croce (con una bellissima manica argentea, quasi metallizzata), rimarcando l’eleganza preziosa della macchia rossa del mantello di san Giovanni che accende la parte destra del dipinto; ma si immagina molto bene, una volta sottoposta la tela ad un competente restauro, la brillante e meditata tavolozza che impronta tutti gli autografi del Trotti. Rimando ulteriori precisazioni di ordine cronologico e stilistico ad una prossima circostanza, una volta esaminata l’opera de visu; per ora lascio volentieri la primizia ai lettori del “Vascello”.



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