Il cappellano Luciano Zanacchi racconta il disimpegno di mons. Giglio Bonfatti e forse del Vescovo Cazzani e i tragici minuti della fucilazione con la mitragliatrice che si inceppa e i condannati finiti a colpi di pistola o col calcio del fucile
Alla Caserma del Diavolo anche il linciaggio del medico di Malagnino Bonera e di un combattente, Settimo Catenacci
Prosegue così il memoriale di don Luciano Zanacchi:
Poco dopo il mio arrivo, giunse pure l’automezzo con una quindicina di persone. Andai loro incontro, paternamente annunciai loro, inconsci di quanto stava per avvenire, la sentenza estrema. Benevolmente li invitai a disporsi per il grande passo. Meraviglia per la notizia, ma calma ed accettazione da parte di tutti dell’opera del Sacerdote. Attorno a me e al gruppo dei condannati andava facendosi sempre più fitta ed impaziente la gente, pronta ad eseguire o assistere all’esecuzione. Per questo non credetti opportuno staccarmi dai condannati per recarmi alla vicina Parrocchiale di S.Michele a prendere le Sacre Specie per il Viatico. C’erano troppe brutte facce in giro e troppa impazienza. Temevo qualche brutto scherzo....
Due donne, e precisamente la Merlini ed una signorina figlia di un ministeriale romano, caldamente mi pregavano perché le aiutassi a salvarsi. Ottenni di accompagnarle in una stanza che fungeva da sede di comando della caserma. M’incontrai qui con l’ingegner Ferretti ed un’altra persona che non ho mai conosciuta. Patrocinai la causa. Per la romana revoca della sentenza capitale, per la Merlini un deciso no. Approfittai dell’occasione per telefonare in Vescovado, poiché proprio sul tavolo vidi l’apparecchio telefonico.
Saranno state circa le ore 7. Notavo impazienza sempre più crescente intorno a me. Occorreva fare presto. Al telefono mi rispose Don Giglio Bonfatti. Rapidamente io misi al corrente della situazione: mitraglia già pronta per l’esecuzione. Don Giglio mi disse che il Vescovo stava celebrando la S. Messa. Mi chiese se c’era qualche via d’uscita. A mio parere non ne appariva alcuna. A don Giglio Bonfatti non restò che suggerirmi di fare tutto il possibile, fino in fondo il mio dovere di sacerdote, assicurando che avrebbe comunicato il tutto al Vescovo non appena avesse terminata la Messa.
Pochi minuti dopo i condannati stavano di fronte a una mitraglia. I partigiani comandarono loro che si voltassero: fucilazione alla schiena, come traditori. Fermamente mi opposi. Mi ascoltarono. Ordine di esecuzione: i condannati cadono feriti. Si inceppa la mitraglia. Colpi di fucile e di pistola. Preghiera dei morti. Da parte mia fu ricordata la sacertà del momento e del luogo. Le salme furono composte nelle bare e portate al cimitero.
Questa è la verità sulla fucilazione dell’alba del 1°maggio 1945 e intendo che quanto poasso aver detto e scritto in proposito, occorrendo chiarimenti, sia interpretata alla luce di questa mia presente deposizione.
Aggiungo: subito durante la giornata dell’1 maggio incontrai il rev. Parroco di Sant’Ilario Don Giuseppe Piazzi. Raccontai quanto era avvenuto il mattino. Poiché I’ingegner Ferretti, che fungeva da Questore, era suo parrocchiano, si recò da lui per avere chiarificazione. Il Ferretti confermò che durante lo notte da Milano vennero ordini categorici per dare rapidamente soddisfazione al popolo nella giornata del I maggio, fucilando almeno una ventina di fascisti. Il Ferretti. così dichiarò lui, rimase turbato e titubante. Invece di 25 ne fece scegliere una quindicina, tanto per eseguire gli ordini e far fronte alle insistenze locali.
Ebbi queste notizie dallo stesso Mons. Piazzi.
Don Luciano Zanacchi
Fin qui la memoria scritta. La precisazione riguardo alle richieste di eventuali chiarimenti, ha un senso, perché don Luciano Zanacchi diede anche una testimonianza dei fatti verbale, precisando che Don Giglio Bonfatti aveva commentato: “Se hanno la coscienza pulita, avranno un giudice supremo che li assolverà”. Resta in dubbio se Bonfatti abbia informato o no il Vescovo Cazzani. Ma pare assai improbabile che non lo abbia fatto o che Cazzani non fosse assolutamente al corrente di quanto stava avvenendo. Nella descrizione verbale raccolta da Carlo Azzolini quando don Zanacchi era parroco di Brancere, nei pressi di Stagno Lombardo, il sacerdote precisò che la mitragliatrice era piazzata su un tavolo.
Riferì Carlo Azzolini: “Li portarono nel cortile. Don Luciano impartì a tutti l’estremo saluto e fece per allontanarsi. Lucilla Merlini che aveva sperato in un suo ultimo intervento, si aggrappò alla sua veste per andare via con lui. I condannati erano tutti fermi e muti in piedi. Solo la Merlini piangeva disperatamente. Partirono dei colpi, poi l’arma si inceppò. Alcuni dei condannati erano già a terra feriti, altri gridavano e si sbandavano. A questo punto avvenne un fatto che sembrava predisposto. Da diversi punti della “caserma” e da alcune finestre, partigiani pronti con le armi si misero a sparare sui disgraziati con un tiro libero a piacimento finché nei loro corpi vi fu un sussulto di vita. Le scarpe dei fascisti furono contese da quanti avevano sparato”.
Purtroppo la fama della Caserma del Diavolo si consolidò. Venne tradotto qui e picchiato a sangue anche il medico condotto di Malagnino dott. Bonera. Ridotto in fin di vita, fu prelevato e abbandonato nei boschi del Po ormai cadavere. La moglie il giorno dopo, recandosi alla caserma del Diavolo, chiese notizie. Le risposero che era stato portato “in Svizzera”. La moglie stessa lo ritrovò nelle boschine, in un piccolo fossato, seminascosto tra frasche e fogliame.
Settimo Catenacci
Sempre alla Caserma del Diavolo il 18 maggio 1945 venne internato Settimo Catenacci, (nella foto) decorato al V.M. che proveniva dai reparti della RSI di Venezia dove tuttavia, non avendo riscontrato alcun che nei suoi riguardi, gli era stato consentito di raggiungere Cremona, oltre tutto munito di un lasciapassare degli alleati che garantiva per lui e che lo avrebbe dovuto salvaguardare da ogni rappresaglia. Raggiunto a casa da sette persone e portato alla Caserma del Diavolo, fu picchiato a sangue e quindi condotto, a calci e sputi, verso la Questura lungo via XX settembre, accompagnato dai figlioletti che imploravano di salvargli la vita. Davanti alla Questura, il dott. Ferretti rispose che non sapeva che farsi di lui. Fu quindi trasferito alla “Ghidetti”, caserma ausiliaria di P.S, dove fu ugualmente rifiutato il suo internamento. Fu finito nelle boschine del Po. Le sette persone vennero individuate e denunciate il 9 settembre 1949 su indagine della Questura di Cremona. I denunciati erano Giuseppe Bianchini, Leonardo Dossena, Mario Giussani, Enrico Novascobi, Ernesto Reolon, Giordano Marzano e luigi Cappelletti. Alcuni, ma non tutti confessarono la loro partecipazione al linciaggio e alla traduzione del cadavere nelle boschine del Po.
Nella foto: l'ingresso dei partigiani a Cremona il 26 aprile 1945 da via Brescia. La Liberazione avvenne in quel giorno, non il 25 aprile come altrove. Il 26 aprile uscì infatti l'ultimo numero del "Regime Fascista" di Farinacci che lasciò la città a mezzogiorno, assieme alla marchesa Medici del Vascello. Furono fermati nei pressi di Vimercate. La Medici del Vascello colpita nella sparatoria morì dissanguata all'ospedale di Merate, Farinacci fu fucilato a Vimercate.
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Pagina aggiornata alle ore 20:19:12 di Martedì, 4 maggio 2004