"Il Vascello", pagine di cultura: Giardini Cremonesi Testo di Marida Brignani e Luciano Roncai,
foto di Luigi Briselli ed Ezio Quiresi


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2- Tra il 1730 ed il 1740 aveva preso corpo e si era sviluppato in Inghilterra il concetto di giardino paesaggistico, il celeberrimo Landscape garden, che aveva via via ampliato il concetto di giardino fino ad estenderlo e a sovrapporlo a quello di campagna. L’innovativa idea inglese attingeva - teorizzandola in modo nuovo, divulgandola e affermandola con realizzazioni spettacolari per dimensioni, complessità, coerenza estetica e funzionale, progettazione accurata e minuziosa, conduzione metodica - ad una italianissima pratica: la villa palladiana, riscoperta in quegli anni dalla cultura inglese, e più in generale la villa veneta quale complesso sistema di relazioni funzionali fra gestione del patrimonio, rappresentatività, controllo sociale delle campagne e del ceto contadino.
L’organismo-villa era posto al centro di vastissime tenute agrarie e comprendeva la residenza nobiliare estiva e le sue pertinenze, fulcro gestionale di una proprietà dominata tutto intorno dallo sguardo che spesso comprendeva, oltre il giardino e la campagna, la piazza e la chiesa, le case contadine ed il villaggio, i viali alberati e i canali, i boschi, il fiume e le colline. Sintesi di bellezza, armonia ed utilità. Un’organizzazione territoriale, di stampo non feudale, attraverso la quale la nobiltà veneta, agendo soprattutto sui beni inculti, aveva caratterizzato con forme permanenti la campagna, investendovi i propri capitali ed attingendone a lungo i profitti.
Da qui l’idea estensiva del giardino inglese, che cercava però forme e modelli estetici anche in un’altra campagna italica, ricca di memorie e di pathos: quella romana con le sue rovine, tappa irrinunciabile di colti “pellegrini” alla ricerca del cuore della classicità; campagna che trovava raffinate interpretazioni in una pittura di paesaggio particolarmente apprezzata dal collezionismo d’oltremanica.
Si trattava in ogni caso di paesaggi agrari profondamente diversi da quello lombardo per la diversità dell’ambiente naturale e dell’assetto idrico e viario, per estrazione culturale e sociale dei proprietari, per forme di possesso, gestione e controllo del territorio, per diversa struttura e vocazione delle aziende agrarie che presupponevano diversa forma, distribuzione e rotazione delle colture.
Quali potevano essere allora il significato ed il ruolo del giardino rurale all’interno del paesaggio-giardino lombardo con le caratteristiche sopra descritte, in special modo nel Cremonese? Che cosa faceva scattare, agli occhi dei periti della Real Giunta del Censimento austriaco, la differenza fra l’orto-brolo-giardino-frutteto-pomario e la campagna “aratoria” ed “adacquatoria”, “morita” e “vitata”, elevandone al massimo il valore capitale?
Non sembra essere una differenza fondamentalmente qualitativa, ma una questione di “densità”: di concentrazione in uno spazio relativamente ristretto di una serie di caratteristiche di eccellenza. Il giardino era da sempre il luogo più prossimo all’abitazione, più vigilato e difeso, spesso circoscritto da alti muri o siepi di recinzione a proteggere dall’invadenza della fauna selvatica, dalla voracità degli animali brucanti, dallo sguardo e dalla fame degli uomini; costantemente provvisto d’acqua e più di ogni altro “allietato” dall’aspersione del letame: il luogo ove ogni singolo individuo vegetale, albero ornamentale o da frutto, vite, pianta aromatica, ortaggio o fiore riceveva cure assidue; dove spesso era ubicato il pozzo e si producevano buona parte degli alimenti che giungevano direttamente sulla tavola del proprietario o dell’affittuario, si allevavano piccoli animali da cortile, si affacciavano le torri colombaie, si disponevano le arnie, si conservavano i cibi nella ghiacciaia, si coltivavano i frutti per l’inverno da riporre sotto forma di sciroppi e liquori, marmellate, conserve, mostarda e frutta secca.



Edizioni Del Miglio, via Stradivari 5, Persico Dosimo -- -- 12-05-2004