"Il Vascello", pagine di cultura: Giardini cremonesi | Testo di Marida Brignani e Luciano Roncai, foto di Luigi Briselli ed Ezio Quiresi |
7- Nonostante gli stimoli esterni, il processo di riforma dell’agricoltura cremonese pare essersi attuato in modo lento e non essersi esaurito nell’ultimo quarto del XVIII secolo, perdurando nel periodo compreso fra la Restaurazione e l’Unità d’Italia. In questo lungo lasso temporale si è andato lentamente modificando tutto l’assetto del territorio: migliorata la captazione e la distribuzione delle acque, incrementata la bonifica, acquisite e messe a coltura - attraverso un caparbio lavoro di progressiva costruzione, difesa e miglioramento qualitativo di nuovi mappali e l’impiego di ingenti risorse prevalentemente pubbliche - aree precarie come le golene, sottratte all’influenza quotidiana delle variazioni idrometriche dei fiumi e acquisite da nuovi ceppi emergenti del panorama agrario. Con il passare del tempo il ruolo del giardino nella cascina sembra lentamente affievolirsi, di pari passo con il trascolorare della sua valenza produttiva a vantaggio di quella estetica. L’introduzione di una serie di migliorie fondiarie e l’attuazione di nuove forme di rotazione agraria, aumentando le rese quantitative e qualitative dell’agricoltura, sminuiscono progressivamente la valenza economica e produttiva degli orti-broli-giardini rurali. Nel progetto del Fermiere Greppi a Santa Vittoria infatti, il giardino possiede ancora un ruolo rilevante, in quello di Voghera a Roncole di Busseto è meno inciso; negli elaborati progettuali tardo ottocenteschi di Ombriano e nelle progettazioni di cascine di Euclide Voghera, figlio di Luigi, il giardino pare scomparire del tutto. Questa probabilmente l’evoluzione del rapporto fra giardino e produttivit? agraria colta e tradotta in progettualità dai tecnici e dagli imprenditori più aggiornati che si avviano ad abbandonare l’utopia dello stabilimento agrario a ciclo completo e preludono il sorgere di quelle vere e proprie industrie di trasformazione che saranno le latterie sociali, le filande e i macelli. Nella pratica quotidiana tuttavia l’uso e la funzione del giardino annesso agli insediamenti rurali dovette continuare a trovare un suo significato, evoluto in manifestazioni più attente alla consistenza edilizia ed alla qualità estetica, ma certamente condiviso, se ancora oggi in provincia di Cremona possiamo contare centinaia di organismi giardinieri inseriti organicamente nella trama territoriale agraria che testimoniano la quotidiana frequentazione di questi valori, non solo tra le classi dei grandi proprietari terrieri di estrazione nobile o borghese, ma probabilmente dall’insieme della società, compresa la classe degli affittuari. Una produttività che tornava ad un significato e ad una gestione di dimensioni domestiche e che riutilizzava in tempi e modi marginali le molteplici competenze e la minuta manualità dei propri addetti, mentre nell’azienda la competitività dei prodotti richiedeva nuove forme di organizzazione agraria ed un grado sempre più elevato di specializzazione degli operatori e degli investimenti, in funzione di una maggiore resa. Il territorio agrario cremonese si orientava verso una produzione cerealicola ed una zootecnia all’avanguardia, perdeva in complessità arborea mentre l’orto, il brolo ed il giardino continuavano a godere della sapienza antica di chi seminava seguendo il ciclo delle fasi lunari, sapeva potare, innestare, selezionare semi, riprodurre e dare forma ad alberi ed arbusti, ottenere fiori, ortaggi e frutti buoni e belli. Un’abilità che, nelle aree più produttive e di maggior valore fondiario, veniva lentamente dimenticata o relegata ad un ruolo prevalentemente femminile, da esplicarsi nei giardini, ma trovava sviluppo in alcune aree ancora marginali, come le golene, per specializzarsi e reinventare, secondo un modello economico per certi aspetti assimilabile alle limonaie del Garda, una nuova forma di professionalit? e di redditività: il vivaismo. |