"Il Vascello", pagine di cultura: Giardini cremonesi | Testo di Marida Brignani e Luciano Roncai, foto di Luigi Briselli ed Ezio Quiresi |
9- A questo reticolo di segni antichi, al quale era riconosciuto un valore condiviso sia per la valenza giuridica dei confini di proprietà, sia per la valenza funzionale delle direttrici idriche e viarie, anche il giardino si adegua ordinatamente senza sconvolgerne l’assetto. Pressoché tutti gli organismi giardinieri del Cremonese centrale sono incastonati nella maglia agraria e sono circoscritti da canali irrigui e strade, così come i palazzi cittadini si incastonano nella maglia urbana delle vie e delle propriet? limitrofe. Al rispetto di questi assetti non possono sottrarsi neppure le famiglie emergenti o i progettisti di fama. L’eventuale estensione, in tempi diversi, degli organismi giardinieri è inoltre soggetta al mantenimento della funzionalità della canalizzazione irrigua, spesso inglobata nel giardino mantenendone intatto il percorso, e al possesso o all’eventuale acquisizione dei mappali confinanti. Pare emblematico in proposito l’esempio del più significativo complesso cremonese, il giardino delle Torri dei gemelli Picenardi, che sviluppa il proprio ampliamento con una rotazione di 90° dell’asse principale. Dopo aver in un primo tempo incluso la fossa castellana sul lato Est e aver costruito un fondale illusorio laddove i vincoli della proprietà altrui non consentono di creare una prospettiva adeguata, é in seguito costretto a ruotare verso Sud superando nuovamente la fossa; la realizzazione del secondo e del terzo settore è condizionata dal sovrappasso della strada pubblica ed al superamento del cavo Bolla. L’inserimento di pittoreschi ponti sospesi, prospettive dipinte, quinte verdi o architetture che emergono in modo “naturale” dalla vegetazione risolve in modo creativo l’aspetto estetico, segna un’evidente adesione ai canoni del giardino pittoresco attraverso l’introduzione di viste e percorsi obliqui, supera l’assialità dei punti di fuga centrali, ma non cambia la natura del problema. É chiaro che un territorio così “urbanizzato”, di elevato valore intrinseco ed eccellenti potenzialità produttive pone una serie di limiti alla realizzazione di giardini paesistici di stampo inglese. Non che questi ultimi non fossero produttivi: la loro redditività era però diluita su ampi spazi e affidata in buona parte all’allevamento bovino e ovino per la produzione di filati pregiati che alimentavano l’industria tessile, per la quale si andavano selezionando fra Settecento e Ottocento le razze più idonee. Le grandi proprietà, ancora d’impronta feudale, che abbracciavano l’intero paesaggio con i boschi, le acque e gli spazi erbosi, assorbivano questa produttività rendendola meno “densa” e non immediatamente percepibile. Senza contare che il reddito fondiario nazionale era supportato dalla ben più intensa remunerativit? delle coltivazioni praticate nel vasto impero coloniale. |