2- Uno specchio appannato della città
Una studentessa brava, Valentina Rigoli, una professoressa di storia della Università di Pavia, cremonese, Elisa Signori, una professoressa di storia dellarte, pure dellUniversità di Pavia, G.M. Di Giovanni, hanno costruito una bella realtà culturale, storica e perché no?- politica. La direttrice della nostra Biblioteca statale, la dott. Emilia Bricchi Piccioni, lha letta, lha apprezzata, lha ritenuta degna di venire presentata al pubblico e così la neo-dottoressa Valentina Rigoli, in sala Lazzari, ha parlato della tesi: Cremona. Vita artistica di una città attraverso la sua rivista. Sua in quanto espressione di una comunità provinciale e scarsamente sensibile al nuovo, al sociale, alle esigenze delle classi meno fortunate. Un rivista non bellissima, spesso superficiale, ignara di quanto avveniva oltre i fiumi che ne limitano il territorio provinciale, oltre i monti che separano lEuropa dagli altri continenti. Una rivista cremonese, uno specchio un poappannato del complesso clima culturale di Cremona durante il Ventennio fascista, dal 1928 al 1943.
Cremona, una dimensione internazionale e una nicchia
Lo stimolo che ha reso interessante largomento è stato anche la particolare situazione politica in cui la nostra città visse durante il ventennio. LAutrice della tesi vede, infatti, nella Introduzione al suo lavoro, che Cremona, patria dadozione di chi era stato (era stato) uno dei capi più violenti delle squadre dazione nel periodo che seguì la prima guerra mondiale, era diventata una specie di feudo farinacciano e godeva di un prestigio nazionale mai conosciuto prima (basta pensare alla diffusione nazionale e persino internazionale del quotidiano locale, il Regime Fascista).
Cremona, negli anni tra il 25 e il 35, è stata una città tranquilla, una specie di nicchia, un poco avulsa dalla realtà nazionale, convinta, in un certo senso, di essere diversa, una zona protetta che fruiva di una specie di regime speciale nellambito nazionale.
Questo lo diciamo noi, anche se siamo daccordo che tale particolare status di extra-territorialità, per così dire, costava ai cittadini (che se ne accorgevano relativamente o non se ne accorgevano, tranne pochissimi) un pesante tributo, fatto di libertà soppresse, di diritti calpestati, i privilegi elargiti da un gerarca al di sopra delle leggi.
La rivista Cremona era a cura dellIstituto fascista di cultura e doveva rappresentare, quindi, una certa ufficialità. Che tale ufficialità, insinua acutamente la Rigoli, fosse solo di facciata oppure rappresentasse un sincero convincimento, ci è oggi difficile da stabilire(
) in parte perché il discorso sfocia necessariamente in una valutazione morale: la partecipazione alla vita del Regime poteva essere per molti un fatto puramente esteriore (
.) magari obbligato per imprescindibili necessità materiali (la possibilità di fare carriera, lesigenza di lavorare
.).
Il dissenso era nei fatti impossibile
Certo non era possibile esprimere il proprio dissenso se non pagando il prezzo di una scelta scomoda (magari lindigenza o lespatrio) ed era male. (La prof. Ausenda, di cui Cremona pubblicava a puntate un romanzo, quando ritenne di non poter sopportare la tirannide, si rifugiò a Parigi con un compagno, tale Amigoni).
Argomento interessante e che meriterebbe un ulteriore approfondimento, proprio perché i Cremonesi sembrano aver dimenticato con troppa facilità un periodo cruciale della loro storia, come scrisse Renato Rozzi, in I Cremonesi e Farinacci. Ma non è dimenticanza, è lo sforzo di far dimenticare, la paura che ci si ricordasse di quella loro sudditanza passiva allonnipotente Onorevole.
Appare chiaro, dunque, che una tesi sulla vita artistica della nostra città durante il Ventennio non può prescindere dal definire la società cremonese del tempo ed è questo il primario nostro interesse, lasciando ai critici competenti di approfondire laspetto dello sviluppo artistico durante tale periodo (perché la vita artistica non venne meno, allora, come è stato dimostrato, in altro settore, nellarchitettura, attraverso le opere di Ranzi, di Vito Rastelli e di altri, come risulta dalle tesi di laurea assegnate al Politecnico di Milano dai professori Roncai e Sandri ).
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