Cremona: una rivista di cultura ai tempi del fascismo
Un articolo di Gianfranco Taglietti
Riproduzione: Aprile 1928, la copertina cambia grafica, il testo prosegue sotto


Il Vascello - L'inserto culturale

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3 -Qualche nota…biografica della rivista ‘Cremona’, che caratterizzò, in un certo senso, la vita culturale della nostra città, per undici anni, dal 1928 al 1943.

“ La rivista di Cremona”, modificata presto nel titolo in “La rivista di Cremona e della sua provincia”, nacque nel marzo del 1928 (n.1). Dal 1929 assunse il titolo definitivo di”Cremona” e avrà un cadenza mensile fino al 1939 quando, per aderire alle direttive circa il risparmio di carta, diverrà bimensile.
A Farinacci fu affidato il compito di illustrare i compiti e gli obiettivi della rivista: “Cremona’risponde in primo luogo ad una disposizione governativa che prevedeva la pubblicazione periodica di un bollettino contenente i dati statistici essenziali, relativi alla vita di ogni comune, ma, per volontà del podestà (l’avv. Giovanni Bellini), al fine di diffondere tale pubblicazione tra il popolo deve occuparsi anche dell’illustrazione e dell’esaltazione del patrimonio artistico della nostra città e delle grandi opere realizzate dal Fascismo.”
In questo manifesto programmatico si legge anche che “poiché il Fascismo è esaltazione di tutto ciò che è bello (….) le meraviglie artistiche custodite dalle nostre chiese e nei palazzi antichi che decorano la nostra città devono essere fatti conoscere all’intera nazione e a tutti i Cremonesi che ignorano le bellezze della loro città, bellezze non solo appartenenti al passato più antico, ma anche a quello prossimo”.
Nel gennaio del 1929 troviamo un nuovo manifesto, o meglio, per usare le parole del suo autore, Tullo Bellomi, un ‘dodecalogo’ (suggerito dal Direttore ai collaboratori).
Ma chi era Tullo Bellomi, che fu il direttore di ‘Cremona’ dall’inizio della sua vita alla fine, nel ’43- maggio/giugno? Avvocato, piuttosto vivace, esuberante, dotato di un certo ‘glamour’(portava, mi pare, il monocolo); era stato socialista, segretario particolare di Leonida Bissolati, ma, pur non dimentico del suo passato, s’era convertito al nuovo corso. Era tra gli accompagnatori abituali di Farinacci.
Nel dodecalogo chiedeva, per converso (si chiede agli altri quello che noi non abbiamo) ‘aurea semplicità’, di evitare le pose epiche, di bandire gli scrittori a lungo metraggio, di coltivare l’ottimismo, d’essere divertenti, di lasciare da parte ciò che sembrava ‘brutto’, di lodare solo chi agiva, di esercitare la critica più arcigna, di giudicare gli artisti non per la bandiera in cui amavano drappeggiarsi, restare ‘ferocemente’ italiani e fascisti, di aver fede nei giovani, di considerare i critici come le medicine, spiacevoli, ma necessarie. Il nuovo stile fascista doveva essere costituito da un linguaggio preciso, semplice, chiaro, vigoroso, contro la retorica pomposa e parolaia del regime liberale. (E pensare che la retorica fu, per così dire, connaturata al Fascismo).
Storace (che fine tragica per un personaggio da commedia!), nel 1938, raccomandava ancora, dopo dieci anni, brevità, concisione, il bando all’eccessivo uso degli aggettivi, contrari alla sobrietà dello stile fascista.



Pagina aggiornata alle ore 22:35:30 di Mercoledì, 15 dicembre 2004